Nel tratto di bosco di Grottaferrata, lungo la strada che conduce a Frascati, sorge Villa Muti. Le prime notizie, risalgono al 1579 quando Monsignor Ludovico Cerasoli, canonico di Santa Maria Maggiore, avrebbe acquistato, per impiantarvi delle vigne, questi terreni caratterizzati da un’importante presenza di antichi ruderi, forse di una grandiosa villa romana appartenuta a Marco Petronio Onorato. Nel 1591, alla morte di Cerasoli, la proprietà venne venduta all’avvocato concistoriale Pompeo Arrigoni che, nominato cardinale di lì a poco da Clemente VIII, acquistò anche molti dei terreni vicini. Arrigoni diede il via alla costruzione di un palazzo semplice ma austero e alla riorganizzazione del giardino. Quest’ultimo, articolato su più livelli, venne realizzato probabilmente sfruttando i terrazzamenti artificiali della villa imperiale, trasformati poi in giardini pensili. Arrigoni sistemò anche la zona sottostante lungo il pendio, facendo realizzare una serie di aiuole di disegno geometrico e fontane. Della metà del Seicento, invece, è la realizzazione del giardino alla francese e la sistemazione del boschetto a monte mentre ancora successivo è il palmeto nella zona inferiore e il taglio rettilineo dei viali che convergono verso il grande portale in pietra. Nell’Ottocento, infine, con la riunificazione della proprietà, venne realizzato il giardino inglese.
Con Arrigoni, vennero realizzate anche le decorazioni del piano nobile con scene tratte dalla Bibbia: il ciclo di affreschi si può ammirare sui soffitti di 12 stanze, in 7 ambienti del corpo centrale del fabbricato più in alcune sale laterali più piccole. A Domenico Cresti, detto il Passignano, e Ludovico Cardi, detto il Cigoli, si devono i primi affreschi. Non ne è certa la datazione: secondo gli studiosi, il Cigoli lavorò a Villa Muti nel suo ultimo anno di vita, il 1613, limitando molto la sua attività poiché impegnato anche in altre commesse. A completare l’opera venne chiamato, dunque, il Passignano che diresse i lavori e dipinse Tobia che ridà la vista al padre, il Sogno di Giacobbe, la Creazione di Eva e il Sacrificio di Isacco. Alla morte del cardinale Arrigoni, nel 1616, i lavori si interruppero e il pittore fece ritorno a Firenze lasciando incompiuto il Mosè sul Monte Sinai. La villa, passata intanto agli eredi, i monsignori Ciriaco Rocci e Diomede Varesi, nel 1629 venne divisa in due parti. Il Varesi riprese il ciclo decorativo con Storie di Daniele, Storie di Abacuc, Caduta della Manna e Passaggio del Mar Rosso, a lungo attribuite a Pietro da Cortona ma da mettere in relazione con l’opera di Marco Tullio Montagna (documentato nei conti della villa nel 1628) e di Simone Lagi. Lo stesso Varesi, intorno al 1640, affidò le decorazioni delle volte dell’ala sud a Giovanni Lanfranco al quale si deve la realizzazione degli affreschi con l’Incontro di Giuda a Tamar, Giuseppe gettato nel pozzo dai fratelli e Susanna e i vecchioni. Dopo la morte di Ciriaco Rocci nel 1680, la parte nord passò alla figlia Francesca e quindi a Innocenzo Muti. L’altra parte, attraverso Girolamo Varesi passò agli Amadei. Nel Novecento la villa venne riunificata dai Muti che dopo la Seconda guerra mondiale vendettero la proprietà.